L’Istat conferma: il caro-vita gela i consumi degli italiani, costringendo le famiglie a spendere di più per acquistare di meno. Nel 2022 la spesa delle famiglie è cresciuta dell’8,7% in valori correnti, ma l’aumento è un ‘effetto ottico’ dovuto all’aumento dei prezzi: al netto del tasso di inflazione – che lo scorso anno ha raggiunto l’8,7% – i consumi sono rimasti fermi. La corsa dei prezzi, dunque, ha inciso pesantemente sui consumi e sul potere d’acquisto delle famiglie, in particolare quelli più deboli, e continuerà a pesare anche nell’anno in corso.
Così Confesercenti in una nota.
La polarizzazione tra le famiglie consumatrici – come sottolinea anche l’Istituto di statistica – è evidente: il 50% di esse non ha speso più di 2.197euro. Inoltre, di fronte ad un così elevata corsa dei prezzi, i nuclei familiari hanno reagito sia attingendo ai risparmi accumulati durante la crisi sanitaria dovuta al Covid (con il tasso di risparmio salito al 15,6% nel 2020) sia – e si tratta del 30% delle famiglie secondo Istat – modificando i propri comportamenti di consumo, anche alimentari, limitando quantità o qualità degli acquisti alla ricerca del risparmio.
Secondo nostre stime, anche per l’anno in corso la variazione in termini reali dei consumi potrebbe essere pari a zero, visto che il tasso di inflazione si mantiene su livelli comunque elevati (circa il 5,7% in media annua). Uno scenario difficile per famiglie e piccole imprese, che inciderà anche sulla crescita: in una fase in cui il contributo di investimenti ed esportazioni al Pil si ridimensiona, la debolezza dei consumi interni condiziona pesantemente la possibilità di una ripresa economica, non solo quest’anno ma anche per il 2024.
Un quadro difficile di economia stagnante, in cui il caro vita continua a frenare i consumi, con il rischio di un ulteriore avvitamento della domanda interna, e dunque l’economia. Per questo è fondamentale proseguire con i sostegni al potere d’acquisto delle famiglie: bene dunque la manovra approvata dal governo che si concentra sui redditi medio-bassi, tra cui il provvedimento relativo all’aumento della no tax-area ad 8.500 euro, ma occorrerebbe una ulteriore riflessione sui redditi più bassi, che non vengono pienamente coinvolti nei benefici delle modifiche previste per l’Irpef.
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